Fitoterapia, omeopatia, naturopatia, agopuntura, medicina ayurvedica, ecc., stanno assumendo in questi ultimi anni sempre
maggiore importanza, riscuotendo vivo interesse su buona parte della popolazione. Basti pensare che in Italia si è passati nel giro di un decennio dal 5% al 16% di persone (circa nove milioni di individui) che hanno fatto ricorso almeno una volta alla cosiddetta medicina alternativa.
Alla base di tutto ciò c’è probabilmente un cambiamento di prospettiva riguardo alla salute e alle terapie da adottare. La medicina ufficiale imperante in occidente non sembra porre molta attenzione alla singolarità dell’individuo. Utilizza, così, farmaci in base alle patologie degli organi interessati, indipendentemente dalla persona trattata.
Le cosiddette medicine alternative, invece, pongono l’individuo, e non le malattie, al centro del loro interesse e danno l’idea di far ritrovare all’uomo quell’equilibrio psico-fisico che sembrava perduto, interagendo con la natura circostante. Condizione, questa, necessaria a prevenire le malattie, piuttosto che a curarle dopo la loro insorgenza.
Che cos’è la fitoterapia
La fitoterapia, dal greco “phyton” (pianta) e “therapeia” (cura), è la cura o la prevenzione di una determinata patologia mediante l’uso di rimedi vegetali estratti da piante medicinali.
Si occupa essenzialmente della ricerca e dell’impiego delle piante e delle erbe medicinali, nonché di medicamenti che da esse si ricavano.
Si può considerare, da un punto di vista medico-scientifico, non un’alternativa alla medicina ufficiale, ma un efficace strumento che ad essa può essere affiancato per combattere e prevenire efficacemente tutta una serie di piccole e medie patologie, sia in fase acuta che cronica.
Va comunque posto in evidenza che è errato considerare la fitoterapia completamente esente da effetti nocivi in quanto alcuni estratti vegetali, anche a secondo della dose utilizzata, possono risultare particolarmente tossici. Ad esempio, la Belladonna T.M. è un ottimo rimedio antalgico in grado di alleviare ogni tipo di dolore, soprattutto se di tipo viscerale, in quanto ha una potente azione antispastica. Un suo impiego ad alte dosi è, però, altamente controproducente data la sua azione ganglioplegica, per questo il suo uso è controindicato in caso di glaucoma o di sofferenza prostatica. Oppure il Solidago T.M, ottimo rimedio, a dosi terapeutiche, nel trattamento della litiasi urinaria, ma nefrotossico in caso di iperdosaggio. Ed ancora l’Arnica T.M. il cui effetto terapeutico, ben noto, è legato al suo tropismo vascolare utile nella riduzione di emorragie e favorente le cicatrizzazioni; ma ad alte dosi provoca un marcato senso di spossatezza fino a portare ad una forte astenia. È innegabile, però, che se i rimedi vegetali vengono usati nelle dosi opportune per le patologie correlate non si riscontrano gli effetti secondari (o sono comunque di scarso rilievo) molto spesso presenti nei farmaci utilizzati dalla nostra medicina ufficiale.
D’altro canto va ricordato che molti dei principi attivi sintetizzati chimicamente dall’industria farmaceutica sono stati estratti per la prima volta da piante officinali (flavonoidi, antinfiammatori, alcaloidi, ecc.) o da funghi (alcuni tipi di antibiotici).
Cenni storici
Il termine “Fitoterapia” venne usato per la prima volta dal medico francese Henri Leclerc (1870-1955) nel libro Lineamenti di Fitoterapia, una raccolta a carattere medico-scientifico sull’impiego di piante medicinali.
Ma l’uso terapeutico delle piante ha un’origine molto più remota. Già nell’antico Egitto erano usati rimedi e ricette a base di piante medicinali per la cura di molte malattie. Nell’antica civiltà greca l’uso di questa medicina popolare e tradizionale era ben diffuso: basti pensare ad Ippocrate (470-375 a.C.), il “padre della medicina”, che nel suo libro Corpus Ippocraticum individuò per ogni forma di malattia conosciuta un rimedio vegetale curativo. Ed anche nella grande civiltà romana con Dioscoride prima (I sec. d.C.) e, soprattutto, con Galeno di Pergamo dopo (II sec. d.C.), si ebbe un ulteriore input verso l’uso di piante medicinali. Anzi, fu proprio Galeno che, con la distinzione dell’uso terapeutico della singola pianta medicinale e l’uso di più piante ad azione sinergica, (“complesso”), diede origine al termine di “preparato galenico”, inteso come medicamento costituito da più principi attivi di origine vegetale utilizzato per la cura di una determinata malattia (molto più tardi il termine galenico assunse il significato attuale).
Uso e studi di piante medicinali erano ampiamente presenti sia nella civiltà medio-orientale (Arabi) che orientale (Cinesi, Tibetani, Indiani). Anche durante il cosiddetto periodo buio (Medioevo) l’uso di medicamenti vegetali non si perse grazie soprattutto a monaci e religiosi in genere che praticarono questa branca della medicina tradizional-popolare raccogliendo erbe medicamentose nei pressi dei loro monasteri.
Nascita della moderna fitoterapia
La moderna fitoterapia affonda le sue radici nel Rinascimento in seguito alla nascita delle prime Università e delle prime Scuole Mediche. La più importante fra tutte è stata sicuramente la “Scuola Medica Salernitana” (XI-XIII sec.) che recepì sia la conoscenza erboristica orientale (araba in particolare), che quella occidentale (greco-latina). Importante è stata anche l’Università di Montpellier, considerata l’erede della Scuola Salernitana. Ed importanti sono stati alcuni insigni studiosi dell’epoca tra cui spicca il nome di Paracelso (1493-1541).
La tradizione popolare prevede soprattutto l’uso dei medicamenti vegetali attraverso:
Infuso: nel recipiente contenente la “droga” si versa acqua bollente e si lascia in infusione per circa 5-20 minuti. Poi si filtra. L’infuso si usa generalmente per parti della pianta molto tenere ( fiori, germogli, foglie).
Decotto: la “droga” viene posta in recipiente con acqua fredda e si porta lentamente ad ebollizione per circa 15-30 minuti. Poi si filtra. Questa operazione viene effettuata generalmente per trattare parti dure della pianta medicinale (radici, corteccia, semi).
Tisana: è costituita dall’associazione di più piante medicinali compatibili fra loro per azione farmacologia e caratteristiche chimico-fisiche, con una pianta medicinale base su cui verte l’azione farmacologia più importante. Si usa sotto forma di infuso o decotto.
Alcoliti: estratti idroalcolici di piante medicinali in cui l’alcool è il solvente. Le piante, essiccate, vengono messe a macerare per 5-10 giorni in alcool. Poi si filtra.
Idrolati: ottenuti dalla distillazione della “droga” in corrente di vapore.
Oleoliti: soluzione di medicamenti disciolti in olio.
Alla fitoterapia classica si rimproverava soprattutto la variabilità dell’attività del rimedio.
La fitoterapia moderna è passata da una fase prettamente empirica ad una fase prettamente medico-scientifica con ricerche in campo botanico e farmacodinamico: analisi chimica dei vegetali, sperimentazione su animali e veri e propri studi clinici.
La moderna fitoterapia stabilisce rigorose regole per l’utilizzazione della pianta già al momento della raccolta che deve avvenire nei luoghi e nei tempi atti a favorire la migliore resa in principi attivi della pianta stessa, rispettandone quindi l’intero ciclo biologico: semina, germogliazione, crescita, fioritura, ecc.. Anche la concimazione e la disinfestazione da parassiti (se trattasi di colture) debbono essere condotte in modo tale da garantire un assorbimento minimo delle sostanze utilizzate magari facendo ricorso all’ausilio di prodotti naturali. Tant’è che è comunque raccomandato di raccogliere, possibilmente, le piante medicinali allo stato selvatico nel loro habitat naturale. Inoltre le piante devono risultare completamente sane.
Va rimarcato, inoltre, che la moderna fitoterapia si basa ora sull’impiego di medicamenti accuratamente e scientificamente preparati e controllati: le Tinture Madri (T.M.) e i Macerati Glicerici (o Glicerinati) (M.G.1D.H.).
Tinture Madri (T.M.): si ottengono macerando in alcool, a determinate gradazioni (generalmente 30°-60°), le piante fresche appena triturate (raramente le piante secche) per 3 settimane, agitando di frequente. Poi si decanta e si filtra a pressione. I liquidi così ottenuti vengono aggiunti di alcool per raggiungere la concentrazione e la gradazione opportuna. Si mescola, si lascia riposare per 2 giorni, poi si filtra e si ottiene la Tintura Madre. Il rapporto ponderale, così come stabilisce la Farmacopea Francese, tra la pianta disidratata e la tintura ottenuta deve essere 1:10 (tranne che per la Calendula dove tale rapporto è 1:20).
Macerati Glicerici (M.G. 1D.H.): si ottengono dall’azione dissolvente della glicerina diluita sulle gemme fresche (o altri tessuti vegetali in fase di crescita) dopo essere state triturate. Si decanta e si filtra a pressione, si lascia a riposo per 48 ore, poi si filtra nuovamente. Il rapporto ponderale tra la materia prima riportata allo stato secco e il prodotto finale deve essere 1:20. Il liquido ottenuto si miscela in rapporto di 1:10 con una soluzione formata da acqua (20 parti), alcool (30 parti) e glicerina (50 parti), ottenendo il M.G. diluito alla prima decimale hahnemaniana (1D.H.).
I preparati così ottenuti vengono poi sottoposti a tutta una serie di esami quali-quantitativi atti a stabilire le proprietà organolettiche, chimiche e fisiche richieste al fine di ottenere medicamenti sempre identici e con le stesse proporzioni di prodotti farmacologicamente attivi.
Occorre infine puntualizzare che la fitoterapia moderna non utilizza solo il principio attivo della pianta officinale, ma il “fitocomplesso” costituito dall’insieme di varie sostanze: sia il principio attivo (o i più principi attivi presenti), sia tutta una serie di altre molecole (composti organici, oligoelementi, sali minerali, vitamine, enzimi, etc.) che fanno parte della pianta medicinale in toto, le cui funzioni biologiche risultano complementari tra loro e concorrono all’effetto terapeutico globale.
dr. Francesco Rosella
Papaia
Dal latino il nome scientifico è Carica papaya L. ed appartiene alla famiglia delle Caricaceae.
E’ un albero dioico con un ciuffo terminale di foglie “palmosette” che gli conferiscono l’aspetto di una palma.
La papaia è originaria dell’America centrale, anche se al giorno d’oggi è presente in tutte le zone fertili della fascia intertropicale che comprendono quindi anche Messico, Indonesia e India.
La droga è costituita dal lattice addensato, ottenuto per incisione dei pericarpi dei frutti maturi, cioè dei frutti poco prima della maturazione. Soltanto il succo di papaia, è inserito nella Farmacopea Francese.
La papaina è un enzima contenuto nella papaia che agisce frazionando le proteine, le pectine ed alcuni tipi di lipidi. Questa azione è molto simile a quella che avviene naturalmente nel nostro organismo durante la digestione.
La papaina come fitoterapico trova diversi utilizzi: da sola o associata “nell’enzimoterapia digestiva polivalente” viene prescritta in caso di insufficienza gastrica o duodenale per curare disturbi post-prandiali ed emicranie digestive. Può dunque essere utile per alleviare i disturbi della digestione dovuti a pasti troppo ricchi di grassi e come coadiuvante nelle affezioni epato-biliari.
Grazie alla sua azione antinfiammatoria è impiegata inoltre per la pulizia e la cura delle piaghe, delle escare e delle ulcerazioni trofiche, mentre sperimentazioni cliniche hanno dimostrato l’efficacia della chimopapaina nel trattamento della sciatica da ernia del disco semplice.
La papaia, infine, trova utilizzo anche nella cura della cellulite associata ad edemi poiché l’attività antinfiammatoria della papaina favorisce il riassorbimento degli edemi dolorosi che spesso accompagnano gli accumuli adiposi.
dott.ssa Emanuela Giovinazzi
BIBLIOGRAFIA
1. “Medicalia” – curarsi con le piante
2. Articoli vari